IL TESORO DI CALIGOLA, A NEMI IL MUSEO DELLE NAVI ROMANE

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Le navi romane hanno rappresentato per secoli un autentico mistero, che ha dissetato generazioni di avventurieri e studiosi delle “cose antiche”, nella loro continua ricerca di splendidi tesori e nuove scoperte rivoluzionarie

di Gabriele Rosatelli

Due tesori di inestimabile valore sono stati cullati dalle dolci acque del Lago di Nemi, avvolti dai suoi fondali limacciosi mentre con il passare dei secoli il mondo sopra di essi veniva stravolto. 


Leggende ed antiche storie hanno accompagnato nel tempo le due antiche navi sepolte sul fondo del lago di origine vulcanica, accrescendone la fama e creando attorno ad esse quell’alone di mistero e curiosità che ha dissetato generazioni di avventurieri e studiosi delle “cose antiche”, nella loro continua ricerca di splendidi tesori e nuove scoperte rivoluzionarie

Le due imbarcazioni lacustri sono attribuibili alla volontà dell’Imperatore Caligola (37-41 d.C.), nonostante siano spesso state erroneamente accostate a diversi altri imperatori, come avviene ad esempio nella canzone popolare di Lando Fiorini “Nannì, ‘na gita a li Castelli”, nella quale le due navi vengono legate alla figura dell’Imperatore Tiberio. Oggi i resti dei reperti storici e le dovute ricostruzioni, resesi necessarie a seguito della distruzione degli originali di cui parleremo successivamente, sono ben custoditi nel Museo delle Navi Romane di Nemi, situato nello splendido contesto dall’alto valore naturalistico e storico dell’omonimo specchio lacustre. Sono nate, come detto, per volere dell’Imperatore Caligola e vennero abbellite sontuosamente per consentirgli di tenere splendidi banchetti, seguendo delle usanze molto diffuse già in epoca ellenistica. Svetonio ricorda nei suoi testi che l’imperatore 


“fece costruire navi liburniche a dieci ordini di remi con le poppe coperte di gemme, vele policrome, terme, portici, triclini d grande ampiezza e addirittura con una grande varietà di viti e alberi da frutto. Su queste soleva navigare standosene sdraiato tutto il giorno”

Secondo dei recenti studi, la descrizione svetoniana (fatta per dei natanti che l’imperatore Caligola fu solito utilizzare a largo della Campania) collimerebbe con l’aspetto e l’uso della prima imbarcazione nemorense, destinata dunque ad un utilizzo di palazzo galleggiante, mentre la seconda sarebbe stata un vero e proprio santuario galleggiante, di fondamentale importanza in un luogo sacro come quello di Nemi, profondamente connesso con il divino e terra di Diana. Le due navi non ebbero una vita particolarmente lunga, costruite nel corso del breve impero di Caligola, durato quattro anni, furono, non si sa se intenzionalmente a seguito della damnatio memoriae o meno, distrutte in età neroniana. Già prima di essere affondate, comunque, i natanti vennero razziati e privati delle monete e delle decorazioni più preziose, alcune delle quali trovate all’interno di un piccolo battello affondato anch’esso.

Una delle due navi era posizionata ad appena 5 metri dalla superficie, dunque spesso ben visibile dall’alto, questo posizionamento la rese oggetto di numerosi tentativi di recupero e, purtroppo, saccheggio. Le prime prove di estrazione avvennero nel corso del Rinascimento, dovute ad un clima di estrema attenzione dedicato all’antichità. Nei secoli cardinali, nobili, esploratori e studiosi, si dedicarono anima e cuore a progetti di recupero, con tentativi pratici che puntualmente fallirono, mentre i predatori dei tesori lacustri si susseguivano numerosi, depredando le ricchezze che le navi custodivano.

Sul finire del XIX secolo il Ministero della Marina incaricò una spedizione scientifica ad hoc, che potesse fornire tutte quelle informazioni necessarie ad un recupero serio da effettuare in sicurezza. Gli sviluppi, tuttavia, si ebbero soltanto nel 1926, quando la Commissione presieduta da Corrado Ricci prese in considerazione le varie richieste pervenute. Fu così che il 20 ottobre 1928 venne messo in funzione il primo impianto idrovoro per consentire lo svuotamento del lago attraverso il deflusso dell’acqua per un antico emissario e il recupero delle due imbarcazioni. I lavori di svuotamento e recupero si protrassero fino all’ottobre del 1932, quando anche la seconda nave fu trasportata accanto alla prima in un’area molto vicina alla sede dell’attuale Museo delle Navi di Nemi. Nel 1935 vennero ultimate le strutture che avrebbero ospitato in pianta stabile le due imbarcazioni romane.

Purtroppo, la gioia di poter assistere personalmente ai due tesori fu breve, nella notte del 31 maggio 1944, infatti, delle truppe tedesche costrette alla ritirata dai bombardamenti alleati appiccarono il fuoco all’intera struttura, distruggendole totalmente. Al termine del conflitto il museo venne ricostruito e furono prodotte delle fedeli ricostruzioni in scala 1:5 delle due imbarcazioni, mantenendo comunque l’esposizione di alcune porzioni non andate distrutte e dei preziosi bronzi che vennero, nel corso della Seconda Guerra Mondiale, preventivamente trasportati a Roma e, dunque, salvati. Oggi il Museo delle navi di Nemi rappresenta un importante presidio storico sulle sponde del lago, il quale fornisce al visitatore un patrimonio ricchissimo di una storia spesso poco valorizzata nei Castelli Romani, trasmettendo la dimensione dell’importante ruolo che il nostro territorio ha ricoperto nel periodo romano.


I boschi ed il Lago di Nemi sono stati un fondamentale fulcro della spiritualità e della religiosità romana, immergendosi in questo mondo è possibile respirare quella storia e quella stessa sacralità, vivendo in prima persona la grandezza dell’Impero

Last modified: Ottobre 23, 2023