Abbiamo incontrato il primo barista del Bar-atto, il progetto di inclusione sociale attivo presso la caffetteria della Casa delle Culture di Velletri
di Alessandro Casale
“Buongiorno, un cappuccino con latte di soia – chiedo poggiato al bancone del Bar-atto all’interno della Casa delle Culture di Velletri – lo avete il latte di soia? ”. Un ragazzo di colore con occhi neri come il caffè e denti bianchi come la ceramica che sembra nato per stare lì dietro, mentre mi guarda, si avvicina alla macchina del caffè. Una ragazza che mi ha riconosciuto, dopo esserci incontrati una prima volta per prendere quell’appuntamento, lo sostituisce con l’intenzione di aiutarlo. Io insisto affinché sia lui a servirmi. “Voglio vedere come Mosè monta il latte del cappuccino – dico sorridendo – sapendo che per un barista è un po’ come la prova del nove”. Lui mi guarda incredulo mentre pronuncio il suo nome, non capendo come io faccia a saperlo. Impugna il braccetto del porta filtro della macchina del caffè con fare di sfida e, appena la ragazza gli riferisce il motivo per il quale sono lì, l’espressione concentrata del suo volto schiarisce in un sorriso pieno.
Questo piccolo bar insieme a quello del Teatro Artemisio Gian Maria Volontè sono stati riaperti da qualche settimana grazie al loro inserimento all’interno di un progetto che prevede l’inclusione dei ragazzi con disabilità attraverso il lavoro. Il progetto è nato dalla collaborazione tra l’Assessorato alle Politiche Giovanili del Comune di Velletri, retto dal giovane e volenteroso Edoardo Menicocci, FondArC e tre realtà sociali: lo Sportello Lavoro, la Castellinsieme Onlus e la Castelluccia Coop Sociale.
“Il bar è una palestra, una scuola di vita, invece di libri e banchi ci sono i clienti e la macchina del caffè… se non lavori non conti nulla, anche l’Articolo 1 della nostra Costituzione dice che l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro”
“Il senso di questo progetto ce lo spiega Fabrizio Izzo, presidente della polisportiva sociale “Castellinsieme onlus”, nata nel 2015 con l’obiettivo di lavorare a una progettazione che potesse stimolare l’inclusione sociale. “Nasciamo con lo sport – ci dice Fabrizio che ci sembra subito un tipo in gamba se paragoniamo i suoi 36 anni alla consapevolezza professionale che esprime – in quanto offre gli strumenti per rinforzare le competenze invece delle disabilità. Grazie allo sport i ragazzi hanno preso coscienza delle loro possibilità e sono nati altri bisogni come il lavoro e la realizzazione di sé in quanto uomini e donne. Il bar è un modello, una palestra, una scuola di vita – continua Fabrizio – invece di libri e banchi ci sono i clienti e la macchina del caffè, in gergo si dice “training on the job”. Ogni essere umano ha le proprie forze e le proprie debolezze e se non lavori non conti nulla – afferma con condivisibile senso della realtà – anche l’Articolo 1 della nostra Costituzione dice che l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro. Per abbattere le barriere sociali dobbiamo puntare sul lavoro”.
“A 8 mesi sono stato adottato da una famiglia di Lanuvio…mi sono sentito fortunato, mi sento molto fortunato”
“Sono nato a Milano nel 1992 ed ho 31 anni – ci racconta Mosè con il quale prima di parlare con Fabrizio ci siamo seduti ad un tavolino nel suggestivo chiostro di quello che fu il Convento del Carmine – a 8 mesi sono stato adottato da una famiglia di Lanuvio. Visto che c’era la guerra con l’Etiopia era la cosa migliore, credo. Mia mamma veniva dall’Eritrea e anche mio papà, credo – ci dice Mosè nell’incertezza di ricordi confusi o assenti che lasciano il posto alle certezze quando si parla della sua attuale famiglia – non li ho mai conosciuti anche se a un certo punto c’è stato qualcosa ma ho preferito evitare, la famiglia è quella che ti cresce”. “Mi sono sentito fortunato, mi sento molto fortunato – continua Mosè parlando della famiglia che quando lo ha adottato aveva già quattro figli più grandi – la fortuna di avere una famiglia che ti supporta nelle idee e nel percorso di vita, mi hanno fatto sempre scegliere”.
Mentre parla è pacato a tratti serioso, forse sente il clima di un’intervista che, se pur informale, come tutte le interviste, rischia di metterti a nudo. Tuttavia ogni tanto ci ripaga con un sorriso sincero dove parlano gli occhi più della bocca. Si fa più sicuro quando ci racconta la sua vita professionale che ci colpisce per la ricchezza di esperienze maturate.
Prima del Bar-atto Mosè ha conseguito un attestato presso una delle migliori scuole europee per barman e ha lavorato nel settore HoReCa a Piazza di Spagna e a Piazza Borghese a Roma, in Inghilterra e per Trenitalia
Calca per la prima volta la pedana del bancone di un bar grazie ai fratelli che ne avevano uno a Lanuvio e uno ad Albano. Dalla formazione sul campo arriva a prendere un attestato presso la Mixology Academy, una delle migliori scuole per barman a livello europeo. Da lì comincia a dispensare il suo contagioso sorriso nei bar di Piazza di Spagna e Piazza Borghese a Roma, lungo i corridoi dei treni dell’Alta Velocità di Trenitalia, dove arriva a fare il capo team nell’Executive, il più alto livello di confort di viaggio dei Freccia. Non mancano le esperienze all’estero dove, prima di lavorare sulle tratte ferroviarie italiane, fa un po’ di tutto nella ristorazione a Leeds, nell’Inghilterra settentrionale, e nella più gettonata Londra, dopo essere andato via da Trenitalia. Il ritorno in Italia coincide con il periodo pandemico che lascia certamente il segno anche nella dinamica vita di Mosè e forse, a giudicare dalle sue parole, ne rappresenta un motivo di ripensamento. “Per la mia età ho fatto tante cose ma devo concretizzare di più – sospira Mosè abbassando la testa – ma non è facile, qui spero di restarci e crescere”. “Mi piace stare in contatto con le persone, con i giovani, mi piace essere socievole, mi fa stare bene – ci racconta Mosè quando gli chiediamo cosa rappresenta per lui il lavoro alla caffetteria della Casa delle Culture – resto anche dopo il mio turno se c’è bisogno di dare una mano”. E’ per questo che rimaniamo spiazzati quando ci dice che tuttavia per lui non è una vera passione. “Non riesco a capirlo – ci risponde dicendoci di aver colto nel segno quando gli chiediamo cosa lo appassioni veramente – cerco di capire giorno per giorno cosa posso costruire. Non riesco a progettare il mio futuro perché ho fatto troppi lavori frammentari, forse voglio stabilità per capire il mio futuro”. “Sono stato trasparente – ci dice infine, aprendo le braccia e sorridendo, quando gli chiediamo se ci siamo detti tutto – …penso”. Nelle incertezze che accompagnano la vita di un ragazzo che ha avuto il coraggio di rimettersi in gioco, una certezza ci viene in mente: il latte del cappuccino era veramente ben montato.
Last modified: Aprile 18, 2023